Successo estero

Le regole si rispettano

Per la prima volta dopo molti anni, gli ‘80 del secolo scorso, la stampa internazionale è prodiga di riconoscimenti nei confronti del governo italiano. Le riforme approvate sarebbero tali da rimettere il paese in carreggiata, o per lo meno di dare l’idea che l’Italia si stia finalmente incamminando su una strada virtuosa. Lo “Economist” si è spinto a scrivere che se la riforma della legge elettorale di Renzi sarà approvata, finalmente l’Italia diventerà persino un paese stabile, affermazione che ricorda magari un po’ quelle dello stesso settimanale fatte dopo la caduta del muro di Berlino, per cui il capitalismo liberale avrebbe trionfato, ma pazienza. L’importante è che l’Italia riacquisisca un po’ di considerazione nell’opinione pubblica europea dopo decenni di buio pesto. Poi bisogna sperare di farne un buon uso. A riguardo la pensiamo esattamente come il premier Renzi nella sua ultima intervista alla “Welt”, ovvero che anche se non siamo d’accordo con l’austerità europea, intendiamo rispettarne le regole sottoscritte. Alla fine se ne è convinto persino Tsipras, figuratevi noi. Anche solo per cambiare le regole bisogna rispettarle, altrimenti lo abbiamo scritto spesso, lo ripetiamo volentieri, si direbbe che la nostra opposizione alle stesse dipende dal non saperle rispettare, un po’ come se qualcuno criticasse un governo perché non fosse stato confermato ministro. Solo che una volta deciso di rispettare queste regole di austerità, bisogna farlo davvero. E’ sul lato della pratica realizzazione e non quello delle belle intenzioni, che il governo Renzi lascia perplesso, cominciando dalla legge di Stabilità. Il ministro Poletti invitava il Parlamento a migliorarla, che subito veniva annunciato un possibile voto di fiducia. Non c’è niente di peggio, per far cambiare umore all’opinione pubblica europea, delle divisioni all’interno di uno stesso governo. Renzi ha avuto un vantaggio eccezionale dalla fuoriuscita dal partito di una larga area di dissenzienti, che non sono i sostenitori di una politica keynesiana, ma i nostalgici di una stagione politica consegnata al passato remoto della storia della sinistra italiana. Solo che anche l’onorevole Fassina avrebbe licenziato volentieri Cottarelli e ogni impostazione di spending review, fino a costringere alle dimissioni il povero Perotti. Per questo il governo non si trova in una botte di ferro e vedrete che sarà più difficile di quanto credano a Palazzo Chigi inserire il canone Rai in una bolletta che aumenta del 15 per cento in più rispetto agli altri paesi europei, causa disservizi strutturali, mentre si pagano migliaia di euro a Varoufakis ospite da Fazio. Se Renzi avesse voluto dare un segnale convincente, avrebbe dovuto chiedere di licenziare chi mostra tanta indifferenza nei confronti dello sperpero del denaro pubblico. Un difetto tutto italiano che nemmeno il suo governo sembra riuscito a correggere. Poi se la prendono contro l’austerity.

Roma, 12 novembre 2015